mercoledì 16 settembre 2009

21. Gli italiani

21.1. Il papato da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI
All’interno della chiesa, la politica di Giovanni Paolo II (1978-2005) si distingue per un certo conservatorismo, denotato dal pieno sostegno offerto a movimenti integralisti (Comunione e Liberazione) e da altri comportamenti, come la conferma della condanna dell’uso dei contraccettivi e l’interdizione dei sacramenti ai divorziati risposati. L’iniziativa più clamorosa, in grado di contraddistinguere il pontificato di Giovanni Paolo II, è l’ammissione di errori da parte della chiesa, che rappresenta una novità nella storia del cattolicesimo e, anche se non scalfisce il primato petrino e l’ordinamento gerarchico della chiesa, che rimangono confermati (Ut unum sint, 1995), è foriera di ulteriori interessanti sviluppi, come quello di riprendere e ratificare il principio della libertà di coscienza personale di fronte a tutte le questioni più delicate, sia di ordine politico, che economico o etico. Il mea culpa del papa è anticipato dalla riabilitazione di Galileo (1992), il che, oltre a costituire un superamento dell’oscurantismo medievale, contribuisce ad accorciare le distanze fra scienza e fede. Degna di nota è la presa di posizione a favore della pace e la dura condanna da parte del pontefice della guerra degli Stati Uniti contro l’Iraq (2003).
A Giovanni Paolo II succede il cardinale Joseph Ratzinger, già segretario dell’ex Sant’Uffizio e noto per la sua rigida ortodossia, che assume il nome di Benedetto XVI (19.4.2005). Tra i primi atti del suo ufficio, c’è la pubblicazione di un nuovo Compendio del Catechismo della chiesa cattolica (giugno 2005), il quale, mentre richiama alla memoria un’analoga iniziativa di Pio X (1913), conferma il giudizio di rigidità di un personaggio, che, appena eletto, avverte il bisogno di fissare e divulgare le verità della Chiesa, in modo che siano a tutti ben chiare. In Italia, in occasione del referendum sulla procreazione assistita (12.6.2005), la chiesa scende pesantemente in campo puntando sull’obiettivo, poco democratico, di rendere nulla la consultazione e disinteressandosi di conoscere l’opinione degli elettori. In tema di morale sessuale, il papa conferma la sua opposizione agli atti che non hanno come fine la procreazione o che intendono contrastarla, come prostituzione, adulterio, masturbazione, rapporti omosessuali, contraccezione. L’opposizione si estende anche alla inseminazione e alla fecondazione artificiale, perché ciò instaurerebbe un dominio della tecnica sul naturale rapporto di coppia.
Al pari dei suoi predecessori, Benedetto XVI prende le distanze dal capitalismo, che, mettendo al primo posto la logica del profitto, spesso si rende responsabile di “gravi ingiustizie sociali” e di un “rovinoso sfruttamento del pianeta”. Il denaro in sé non è un male, ma può chiudere l’uomo in un cieco egoismo. Il papa invita pertanto a non considerare il capitalismo “l’unico modello valido di organizzazione economica” (settembre 2007). Rimane l’assenza di una proposta alternativa.

21.2. Limiti della Chiesa romana e richieste di perdono
Numerosi sono i limiti di carattere teologico che gettano dubbi e perplessità sulla chiesa cattolica, la cui descrizione richiederebbe parecchio spazio e non può essere ospitata in questa la sede. Ci limitiamo, pertanto, a rimandare il lettore al libro di Pepe Rodrígrez (1998) o quello di Emanuele Severino (1995), che non sono certo gli unici sull’argomento. Qui vogliamo solo richiamare l’attenzione sulla distanza che separa le attuali posizioni della chiesa nei confronti del Regno di Dio annunciato nei Vangeli e, più in particolare, la posizione della chiesa a proposito della ricchezza. “Gesù vuole che la ricchezza si perda affinché l’anima del ricco si salvi […]. Eppure la Chiesa esita a ripetere l’appello di Gesù ai ricchi” (SEVERINO 1995: 24-6).
Papa Giovanni Paolo II probabilmente passerà alla storia come uno dei papi più coraggiosi, che non ha esitato ad ammettere alcuni gravi errori che la chiesa ha commesso nel corso dei secoli. La chiesa dunque è fallibile. Ma, se è fallibile, con quale autorità può pretendere di essere seguita dai suoi fedeli? Il problema appare serio, ma, come avviene di consueto, i quadri ecclesiali riescono a trovare il modo per riportare le cose allo status quo ante. È il caso del cardinale di Bologna, Giacomo Biffi, il quale ha tenuto a precisare che la chiesa, in quanto sposa di Cristo, è “santa e immacolata” e, pertanto, non può errare. Errano purtroppo i suoi figli. Al cardinale chiederei: quando in ambiente ecclesiale viene presa una qualsiasi posizione, questa posizione è della Sposa immacolata di Cristo o dei suoi fallibili ministri? Nel primo caso non mi aspetterei alcuna ammissione di colpa. Nel secondo caso non vedo perché il fedele dovrebbe sentirsi obbligato a conformarsi.

21.3. Il referendum sulla procreazione assistita (12.6.05)
Le forze politiche laiche e di sinistra vogliono cambiare la legge esistente e rendere più facile la fecondazione assistita e la ricerca sugli embrioni: esse stanno dunque per il Si. Le forze politiche conservatrici e la chiesa vogliono conservare i limiti previsti dalla legge vigente e, pertanto, dovrebbero schierarsi per il No, ma, poiché temono che la maggioranza degli elettori sia orientata verso il Si, una parte di loro, e con essi la chiesa, decidono di assumere una posizione strategica e invitano la gente a non votare, sperando, in tal modo, di rendere nulla la consultazione per mancato raggiungimento del quorum. Fra coloro che invitano all’astensione ci sono alcune fra le maggiori cariche dello Stato. I fatti danno loro ragione, perché l’affluenza si rivela particolarmente bassa (25.9%) e il referendum è nullo.
Ora, se consideriamo che il 25,9% degli elettori corrisponde a circa 12 milioni e mezzo di cittadini e se teniamo conto che la percentuale dei Si ha sfiorato il 90%, ossia ha riguardato circa 11 milioni di persone, ne consegue che costoro, ossia i votanti, hanno perso, mentre è risultata vincente la maggioranza che non ha espresso alcuna opinione, ma che si è semplicemente limitata a disertare le urne. Che idea possiamo farci del livello democratico di un paese che premia l’assente e punisce chi partecipa? C’è poi un altro aspetto che merita di essere considerato. In pratica, i fautori del No vogliono imporre a tutti le restrizioni della legge attuale, mentre i fautori del Si non costringono alcuno a comportarsi in modo difforme da quello che gli suggerisce la sua coscienza. In altri termini, la vittoria del Si avrebbe rispettato la volontà di 11 milioni di elettori, senza nulla togliere alla libertà degli altri cittadini, mentre la vittoria del No ha comportato l’imposizione autoritaria della volontà (non espressa) di una maggioranza su una minoranza. Si può parlare di democrazia?

21.4. Tangentopoli
Superata la paura del comunismo e grazie al processo di revisione del PCI (1990), che cambia il proprio nome in Partito democratico di sinistra (PDS), tutte le forze politiche italiane appaiono legittimate a far parte del governo e inizia una fase politica nuova, dove l’attenzione non è più puntata su un nemico da combattere, ma sul buon governo. È in questa fase che, guardando alla politica con occhi nuovi, si scorge una realtà da scandalo, segnata dal fatto che i partiti politici appaiono per quello che, forse, sono sempre stati: vere e proprie fabbriche di voti, che, grazie al consenso popolare espresso attraverso il voto, dispongono di un potere enorme, di cui, spesso, gli eletti si servono per fini personali. Così, i parlamentari competono fra loro per spartirsi le cariche più autorevoli e prestigiose (lottizzazione) e, nello stesso tempo, favoriscono i propri elettori (clientelismo), allo scopo di assicurarsene il consenso, creando, in tal modo, le condizioni per uno strapotere dei partiti, o partitocrazia. In un siffatto sistema diventa difficile per un cittadino affermarsi nella società, fare carriera e rendere stabile la propria posizione senza essere iscritto ad un partito o senza poter contare sull’appoggio di un uomo di partito.
Col passare del tempo, fare politica diventa, per molti, un pretesto per favorire il proprio partito (finanziamenti illeciti) o per arricchirsi personalmente (corruzione). È grazie alle indagini svolte dalla magistratura, la cosiddetta operazione “Mani Pulite” (1992), che si prova l’esistenza di collegamenti tra partiti politici, mondo imprenditoriale e criminalità organizzata (mafia, camorra, ‘ndràngheta). “Mani Pulite” scopre che non vi è praticamente nessun organismo istituzionale che non sia stato coinvolto in una sistematica distrazione delle risorse della pubblica amministrazione per interessi di partito o personali. Scopre anche che il potere mafioso è compenetrato nella politica ed è in grado di pilotare o condizinare scelte cruciali della vita nazionale in direzione favorevole ai propri interessi. Scopre, in definitiva, quel sistema di malgoverno, che viene chiamato Tangentopoli. Adesso quello che prima poteva semplicemente essere sospettato diviene certezza: preoccupata più di favorire questo e quello che di governare nell’interesse generale, la classe politica non ha promosso le necessarie riforme economiche e sociali, né ha contrastato efficacemente l’evasione fiscale e ha lasciato che il bilancio dello Stato diventasse sempre più negativo.

21.5. La Seconda Repubblica
Il terremoto di Tangentopoli è tale da indurre i partiti a rinnovarsi, assumere nomi nuovi, cambiare i quadri dirigenti e riformulare i propri programmi: la Dc si trasforma in Ppi, il Msi in An, mentre spariscono formazioni con una lunga tradizione quali il Psi, il Psdi e il Pli. Prende forma così quella che viene chiamata «Seconda Repubblica», che, ad onta del termine “Seconda”, conserva le medesime norme politiche della “Prima”, né adotta misure atte a scongiurare la perpetuazione di Tangentopoli, o un ritorno alla stessa. Dietro al cambiamento dei nomi e dei propositi, l’apparenza è tale da indurre molti a ritenere che il sistema politico della Seconda Repubblica non sia sostanzialmente cambiato rispetto alla Prima.
Per fondare la Seconda Repubblica era necessario riformare la Costituzione. “Le vie percorribili per arrivare alle riforme erano in sostanza due: una Costituente, ossia parlamento «monotematico», che in piena autonomia rifondasse la Repubblica; o una Commissione bicamerale – composta cioè in pari numero da deputati e senatori – che elaborasse un progetto da sottoporre alla decisione finale del Parlamento...” (MONTANELLI, CERVI 1997: 185). Si decise per la Bicamerale. La Commissione, incaricata di ridisegnare il profilo della Costituzione, composta da 70 saggi sotto la presidenza di Massimo D’Alema, fece il suo esordio il 5 febbraio 1997. Era previsto che essa avrebbe dovuto concludere i suoi lavori il 30 giugno 1997. “Dopodiché spettava alla Camera e al Senato, in due votazioni intervallate d’almeno tre mesi l’una dall’altra, di approvare – o no – il progetto o i progetti di riforma. Concluso anche questo iter parlamentare complesso, le modifiche della Costituzione sarebbero state sottoposte a un referendum popolare confermativo” (MONTANELLI, CERVI 1997: 188).
Nel 1994 si affaccia sulla scena politica italiana un uomo nuovo, che dichiara di essere in grado di imprimere una svolta decisiva al paese attraverso riforme radicali, che dovrebbero elevare il livello minimo delle pensioni sociali, ridurre la disoccupazione e le tasse, realizzare grandi opere pubbliche, far crescere l’economia e la ricchezza degli italiani, senza ridurre la spesa sociale. Quest’uomo promette che farà dell’Italia un paese profondamente rinnovato e migliore, sotto tutti i punti vista, compreso quello dell’ordine e della sicurezza sociale, dell’istruzione e della giustizia, e afferma che snellirà il farraginoso mondo delle leggi e le complesse procedure burocratiche, rendendo il paese più agile e funzionale. Quest’uomo nuovo è Silvio Berlusconi, un imprenditore di successo, che, nella crisi che sta scuotendo il vecchio “regime dei partiti”, ha capito che “può fare a meno della mediazione politica altrui (…) e punta direttamente al governo” (PACI 1996: 773). Ma chi è, precisamente, costui?

Elezioni politiche dal 1953 al 1994
(dati in percentuale riferiti solo ad alcuni partiti)
1953 1958 1963 1968 1971 1976 1979 1983 1987 1992 1994
Dc 40,1 42,4 38,3 39,1 38,7 38,7 38,3 32,9 34,3 29,7 -
Ppi - - - - - - - - - - 11,1
Pci 22,6 22,7 25,3 26.9 27,1 34,4 30,4 29,9 26,6 - -
Pds - - - - - - - - - 16,1 20,4
Psi 12,7 14,2 13,8 14,5 9,6 9,6 9,8 11,4 14,3 13,6 -
Msi 5,8 4,8 5,1 4,4 8,7 6,1 5,3 6,8 5,9 5,4 -
An - - - - - - - - - - 13,5
Lega nord - - - - - - - - - 8,8 8,4
Forza Italia - - - - - - - - - - 21

21.6. L’ascesa di Silvio Berlusconi
Silvio Berlusconi nasce il 29 settembre 1936 a Milano, da un impiegato di banca. La situazione economica della famiglia è tale che il giovane Silvio deve ingegnarsi per raggranellare qualche soldarello per mantenersi agli studi, e lo fa impegnandosi in diverse attività, come quella del venditore porta a porta, del fotografo e dell’intrattenitore, per poi impiegarsi in un’impresa di costruzioni. Nel 1961 si laurea in giurisprudenza col massimo dei voti e la tesi gli frutta una borsa di studio di due milioni. Evitato in qualche modo il servizio di leva, Berlusconi si dà subito agli affari e fonda la sua prima impresa di costruzioni, la Cantieri Riuniti Milanesi. È il primo passo di una fortunata attività imprenditoriale, che si estenderà dal campo della finanza a quello dell’informazione, dalla pubblicità all’editoria, dallo sport alle assicurazioni, dal cinema ai servizi telematici. Nel 1965 sposa Carla Elvira Dall’Oglio, che gli dà due figli: Maria Elvira (1966) e Pier Silvio (1969). Dal 1969 al 1979 si occupa del progetto e della costruzione di “Milano 2”, la città satellite alle porte del capoluogo lombardo, cui segue la realizzazione di “Milano 3” e del centro commerciale “Il Girasole”. Nel 1973 stringe rapporti con Marcello Dell’Utri, un giovane della piccola borghesia palermitana, e si avvicina all’ambiente mafioso siciliano (FIORI 2004: 65).
Intorno al 1980 si iscrive alla loggia massonica P2 di Licio Gelli e, nello stesso periodo, si dedica alla produzione televisiva e trasforma la tv via cavo di Milano 2 in una televisione nazionale: nascono Canale 5, prima rete televisiva privata nazionale, e Publitalia, la relativa concessionaria di pubblicità, che fanno capo all’holding Fininvest, fondata nel 1978. Il successo ottenuto con Canale 5 spinge Berlusconi ad acquistare anche le reti televisive Italia Uno (da Rusconi, nel 1982) e Retequattro (da Mondadori, nel 1984), che vengono trasformate anch’esse in network nazionali. Nel 1984, dall’unione con Veronica Lario, nasce Barbara, che viene battezzata dal presidente del Consiglio in carica, Bettino Craxi, a riprova del fatto che fra l’uomo politico e l’imprenditore milanese i rapporti sono molto stretti.
Nel 1985 un pretore ordina l’oscuramento delle sue tv. La ragione è la seguente: il meccanismo ideato da Berlusconi per avere una programmazione nazionale –la cosiddetta interconnessione per cassettazione ovvero l’invio dei programmi tramite videocassette, che vengono trasmesse negli stessi orari da emittenti locali– viene giudicato fuori legge. In suo aiuto interviene il presidente del Consiglio, Bettino Craxi, che, con due decreti, autorizza le trasmissioni televisive private a livello nazionale, rendendo legittimo il duopolio televisivo RAI-Fininvest. Sempre nello stesso periodo Berlusconi diventa proprietario del settimanale Sorrisi e Canzoni TV e, poco dopo (1986), presidente della squadra di calcio Milan A.C., che sotto la sua gestione conoscerà periodi d’oro, ottenendo molti titoli, sia a livello nazionale che internazionale.
Nel 1989 comincia la cosiddetta “guerra di Segrate”, che vede Berlusconi da una parte e Carlo De Benedetti, Caracciolo e Scalfari dall’altra contendersi il gruppo Mondadori, che alla fine viene diviso: il settore della produzione dei libri e il settimanale Panorama passano a Berlusconi, mentre l’Espresso e altri giornali locali vanno a De Benedetti-Caracciolo. Intanto, dopo la legge Mammì sull’editoria e la TV (1990), Berlusconi è costretto a cedere Il Giornale, fondato e diretto per qualche anno da Indro Montanelli, e lo affida al fratello Paolo. Nello stesso periodo in cui cresce sotto il profilo editoriale, il gruppo Fininvest sviluppa una forte presenza anche nel settore delle assicurazioni e della vendita dei prodotti finanziari con le società Mediolanum e Programma Italia. Tutto questo fa sì che all’inizio degli anni ‘90 la Fininvest diventi il secondo gruppo privato italiano con oltre 40 mila dipendenti.
I primi anni Novanta segnano un periodo di stagnazione e di crisi per la Fininvest, che sembrano preludere ad oscuri presagi dopo che l’uragano chiamato “Tangentopoli” ha travolto e fatto uscire di scena Bettino Craxi (1993). È in questo frangente che Silvio Berlusconi annuncia il suo ingresso in politica (gennaio 1994) e, dopo essersi dimesso da tutte le cariche ricoperte nel Gruppo Fininvest, fonda il partito Forza Italia, che, insieme ad altri partiti (Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini, Lega Nord di Umberto Bossi e CCD di Pierferdinando Casini e Clemente Mastella), con i quali forma il “Polo delle Libertà” (PDL), si presenta alle elezioni politiche. La scelta di Berlusconi è strategica: in passato, egli ha frequentato i palazzi del governo per guadagnarsi il necessario appoggio politico alle proprie intraprese economiche e ha trovato in Craxi un generoso interlocutore ma, adesso che Craxi è caduto, il Cavaliere intuisce che la cosa migliore da fare per lui è tentare la scalata al potere politico. Acquisita la consapevolezza che, solo diventando capo del governo, egli potrà modificare le leggi a proprio favore e garantire la stabilità e la crescita del suo impero economico, si muove di conseguenza e con la stessa determinazione che lo ha sempre contraddistinto in passato, tutte le volte che ha fiutato un affare.
Nonostante l’evidente conflitto d’interessi, che l’Opposizione non manca di evidenziare, e un certo numero di reati che gli vengono imputati, Berlusconi riesce a vincere le elezioni e diviene capo dell’esecutivo. Il nuovo governo nasce tra mille polemiche e si muove con difficoltà. I primi problemi arrivano a luglio, quando, tentando di far approvare un decreto per uscire da Tangentopoli, il Polo entra in rotta di collisione con il Pool di Mani pulite, di cui fa parte Antonio Di Pietro, che è divenuto una sorta di simbolo nazionale del rinnovamento del mondo politico, ed è costretto alla retromarcia. Lo stesso avviene per la riforma delle pensioni e della finanza, che vengono bloccate da manifestazioni di piazza e dalla dura opposizione del sindacato. Ma il colpo finale Berlusoni lo subisce a Napoli, dove, mentre sta presiedendo la Conferenza mondiale contro la criminalità organizzata, viene raggiunto da un avviso di garanzia per corruzione dal Pool di Milano. Berlusconi in seguito verrà prosciolto dalle accuse, ma il danno di immagine è enorme. Costretto a destreggiarsi fra gli impegni politici e i diversi processi giudiziari in cui è coinvolto, Berlusconi non cessa di curare i suoi affari e, nel 1995, fonda Mediaset, una società che abbraccia le sue attività cinematografiche, televisive e telematiche, e che viene quotata in Borsa nel 1996, con un prezzo per azione pari a circa 3,5 euro. A causa della defezione della Lega Nord, tuttavia, dopo appena dieci mesi di governo, Berlusconi è costretto a dimettersi.
Alle politiche del 1996, senza l’appoggio leghista, Berlusconi è sconfitto dal leader dell’Ulivo, Romano Prodi, ma già alle elezioni europee del 1999 Forza Italia sfiora il 30 per cento dei voti e vince anche alle Regionali. Intanto Berlusconi viene prosciolto da alcune delle accuse di cui è stato fatto oggetto, mentre altri processi cadono in prescrizione (1999). Il 8.5.2001, davanti alle telecamere di Porta a porta, firma un “contratto con gli italiani”, in cui promette di rinnovare il paese e di ritirarsi dalla politica se non avrà raggiunto gli obiettivi prestabiliti. Affermatosi alle elezioni del 13.5.2001, che lo vedono alleato con Alleanza Nazionale, Lega Nord, CCD-CDU e Nuovo Partito Socialista, Berlusconi diviene, per la seconda volta, capo del governo, mentre Forza Italia è il primo partito italiano con il 29,4 per cento dei voti.
Tra le prime leggi varate dal parlamento ce ne sono alcune che favoriscono Berlusconi, come quella sulle rogatorie internazionali (settembre 2001), che rende più difficile l’azione della magistratura, quella che depenalizza il falso in bilancio (gennaio 2002), la cosiddetta legge Cirami sul “legittimo sospetto” (novembre 2002), che consente ad un imputato la facoltà di chiedere lo spostamento della sede processuale e prolungare i tempi della giustizia, il “lodo Schifani” (giugno 2003), che prevede l’immunità nei confronti delle cinque più alte cariche dello Stato, la legge Gasparri sul riassetto del sistema televisivo (dicembre 2003), i condoni per gli evasori fiscali, l’abolizione delle tasse di successione, ed altre ancora, alcune delle quali verranno giudicate incompatibili con la Costituzione. Ad ogni nuova legge dello Stato, molti si chiedono se essa non faccia più gli interessi personali di Berlusconi che quelli generali del paese. Per quanto onesto possa essere il premier, aleggia sempre il dubbio che l’attività legislativa del Parlamento sia asservita in qualche modo ai suoi fini. Volendo sgombrare il campo da ogni sospetto, si giunge alla legge Frattini (luglio 2004), la quale cambia sì qualcosa, ma lascia inalterata la sostanza delle cose.
“La novità fondamentale è che il conflitto di interessi riguarda gli amministratori delle società ma non i proprietari: in altri termini, Fedele Confalonieri è incompatibile con cariche di governo, Silvio Berlusconi no […]. In conclusione, la legge non riguarda i proprietari di imprese di qualunque dimensione né in particolare i proprietari di imprese operanti nel settore della comunicazione e dell’informazione: i proprietari sono infatti considerati dalla legge Frattini del tutto indifferenti alla sorte del loro patrimonio quando ricoprono incarichi di governo” (ALBORGHETTI 2005: 251-2). Questa intensa attività legislativa interessata, oltre al controllo, da parte del premier, di gran parte dei mezzi di comunicazione di massa, inducono gli avversari politici a parlare di un governo personalistico e di “formazione di un regime non democratico, lontano dai principi della Costituzione repubblicana, pericoloso per le libertà fondamentali degli italiani” (TRANFAGLIA 2004: 124).
Se a ciò si aggiunge la perdurevole crisi economica, che continua ad affliggere il bilancio sia dello Stato che di molte famiglie italiane a reddito medio-basso, si può ben comprendere la costante flessione dei consensi elettorali nei confronti di Berlusconi e di Forza Italia. A seguito dei risultati negativi nelle elezioni europee del 2004 e, soprattutto, in quelle regionali dell’aprile del 2005, Berlusconi si vede costretto a sciogliere l’esecutivo, ma riesce a conservare il premierato, seppur con una nuova compagine di ministri. Nonostante le difficoltà in campo politico, gli affari economici di Berlusconi vanno a gonfie vele se è vero che, nel luglio 2005, ogni azione Mediaset vale poco meno di 10 euro.
Nel suo procedere Berlusconi ricorda altri grandi uomini del passato, come Napoleone e Mussolini, i quali, come sappiamo, agirono in due diverse fasi: nella prima, quella della scalata al potere, essi si preoccuparono di guadagnare la fiducia delle masse, nella seconda, dopo la conquista del potere, essi si liberarono degli avversari, insediarono nei posti più importanti uomini fidati e imposero la loro legge. Queste due fasi appaiono ben visibili anche nel caso di Berlusconi, il quale, nel corso della sua campagna elettorale, che è massiccia e prolungata, prima stringe un Patto con gli italiani, promettendo di migliorare il paese e arricchire i cittadini, e ne conquista la fiducia, poi, raggiunto il potere, allontana i giornalisti scomodi (come Santoro e Biagi) e si impegna in una serie di riforme sulla giustizia, sulla Costituzione e sul diritto, che, di fatto, ne accrescono enormemente il potere personale e fanno di lui un leader quasi insostituibile.
Sul finire del suo mandato, il principale scopo di Berlusconi sembra quello di essere confermato nel ruolo di premier alle elezioni del 2006. Solo così, infatti, potrà mettere al sicuro la sua persona da eventuali altre azioni giudiziarie per altri cinque anni e, contemporaneamente, potrà preparare una successione politica all’interno della propria famiglia, per esempio, lanciando nell’agone politico un proprio figlio e, instaurando, in tal modo, una dinastia, al fine di mettere al riparo da ogni rischio futuro il proprio impero economico. Purtroppo per lui, le consultazioni elettorali degli anni 2002-2005 palesano un evidente calo di consensi, che appare legato a diversi fattori, come il carovita e la recessione economica, i quali si aggiungono al mai risolto conflitto d’interessi.
La speranza di un ribaltamento dei pronostici è legata da una parte alla politica di Berlusconi che, ad un anno delle votazioni, dovrà necessariamente giocare d’azzardo e ostentare sicurezza nonostante tutto, riducendo ancora le tasse e allentando i cordoni della borsa, anche a costo di portare il paese sull’orlo del disastro e sperando, nel contempo, nella complicità di una UE, che, uscita indebolita dal risultato negativo dei referendum francese e olandese per l’approvazione della Costituzione (maggio-giugno 2005), è alla ricerca di punti d’appoggio. Dall’altra parte, la speranza di affermazione di Berlusconi nelle elezioni del 2006 è legata al comportamento dell’Opposizione, che è chiamata dai propri elettori a mantenersi coesa e a produrre un programma di governo valido e condiviso. Finché l’Opposizione rimane divisa e incapace di presentarsi con un programma alternativo chiaro e credibile, Berlusconi ha molte chance di essere rieletto, se non per le sue qualità politiche, almeno per il fatto di apparire alla maggioranza degli elettori come il minore dei mali.
Se questo dovesse accadere, Berlusconi si verrà a trovare in una botte di ferro e potrebbe portare a termine i suoi disegni indisturbato. Quando il Cavaliere avrà imposto la sua legge e tutta l’informazione sarà sotto il suo controllo, allora sarà pressoché impossibile liberarsi di lui, anche in caso di politica impopolare, che potrà sempre essere addebitata a cause esterne, come l’UE o congiunture internazionali. Ce lo insegna la storia: un popolo drogato dalla propaganda e dalla demagogia, può continuare a sostenere il suo tiranno anche in momenti difficili. Infatti, benché avessero limitato le libertà democratiche, imposto un regime paternalistico e condotto i rispettivi paesi alla guerra, Napoleone e Mussolini furono amati dai loro popoli e conservarono la fiducia delle masse fino alla disfatta militare. Anche Berlusconi potrà continuare a riscuotere il consenso dei cittadini, perfino in caso di evidente malgoverno o errori clamorosi, e poiché, a differenza di Napoleone e Mussolini, essendo il cielo italiano sgombro da venti di guerra, egli non corre il rischio di andare incontro ad una disfatta militare, potrebbe riuscire, primo caso al mondo, a fondare una dinastia “democratica”!
Il risultati delle elezioni politiche del 9-10 aprile 2006 soltanto per un soffio non coronano i sogni di Berlusconi. L’affluenza è altissima (81,4%, pari a 39,253.595 votanti), a dimostrazione che il clima emotivo è dei più intensi. Alla Camera vince l’Unione con uno scarto di appena 24,755 voti e ottiene, grazie al premio di maggioranza, 348 seggi contro i 281 degli avversari. Al Senato il Centro-Destra ottiene più preferenze (50,21%) rispetto all’Unione, ma, a causa dell’intrigata legge elettorale vigente, avviene che all’Unione vengano assegnati 158 senatori contro i 156 della CDL. Governare il paese disponendo di una maggioranza così risicata si prospetta un’impresa ai limiti dell’impossibile, ma Romano Prodi non intende tirarsi indietro e rifiuta la proposta degli avversari di creare una grande coalizione.
Purtroppo, le previsioni della vigilia si rivelano fondate e Prodi fa davvero fatica a governare il paese e spesso deve fare ricorso alla fiducia e al voto dei senatori a vita. La sensazione è quella di un governo che debba cadere da un momento all’altro ma che, miracolosamente, riesce a tenersi dritto. Sicuramente a causa di tali difficoltà, ma forse anche a causa di limiti strettamente politici della coalizione governativa, Prodi non riesce a produrre risultati degni di nota e a fatica si riesce a percepire un netto cambiamento di rotta rispetto al governo precedente. Non risolve la questione relativa al conflitto di interessi, non reintroduce la tassa sulle eredità, non aumenta la tassazione delle rendite finaziarie, non riduce i costi della politica, introduce un sistema di liberalizzazioni, di stampo destroide, i cui vantaggi, peraltro, sono dubbi e di scarso rilievo. Il rifiuto dei condoni fiscali determina una maggiore entrata delle imposte, che però non viene redistribuita in modo che i cittadini ne traggano un sensibile beneficio, né per ridurre il debito pubblico. L’indulto fa uscire migliaia di detenuti dal carcere e ciò viene percepito dalla pubblica opinione come un atto di ingiustizia oltre che un rischio per i cittadini. Nello stesso tempo, venticinque parlamentari condannati in giudizio per vari reati conservano la loro carica e ciò scatena l’indignazione del comico genovese Beppe Grillo, che riesce a portare nelle piazze centinaia di migliaia di persone, che sono stufe di una classe politica che costa tanto e rende poco.
Il 14 ottobre 2007 viene fondato il Partito Democratico (PD), dove confluiscono i due principali partiti del Centrosinistra: i Democratici di Sinistra (DS) e la Margherita (DL), oltre ad altre formazioni minori. Il PD si propone come evoluzione delle esperienze politiche dell’Ulivo e il suo scopo è quello di fondere le culture socialdemocratica, cristiano-democratica, liberale e ambientalista. Alla segreteria viene eletto Walter Veltroni, il quale lancia l’idea di una riforma elettorale di tipo proporzionale. Intanto, Berlusconi si dice certo che il Governo non supererà la metà di novembre ma, venendo smentito dai fatti, è costretto a subire una presa di distanza da parte di alcuni suoi alleati. La Casa delle Libertà comincia dunque a sgretolarsi e già Berlusconi pensa di fondare un nuovo partito (18 novembre 2007), che si dovrebbe chiamare Partito del Popolo della Libertà (PDL), ma che prenderà il nome definitivo di “Il Popolo della Libertà” (12 dicembre 2007), e si dice disposto ad accettare il dialogo con Veltroni e perfino a condividere la sua proposta di sistema elettorale proporzionale. I suoi alleati mugugnano e la Casa delle Libertà sembra vacillare, quando, provvidenzialmente, il governo Prodi viene sfiduciato in Senato e cade (24 gennaio 2008), anche per la defezione del ministro Clemente Mastella, che, essendo inquisito dalla magistratura, non si sente sufficientemente appoggiato dalla maggioranza.
Si apre così una campagna elettorale, che ha in Veltroni e Berlusconi i principali leader. La novità è rappresentata dal partito di Veltroni, che dichiara di voler correre da solo, di voler fare cioè a meno dei piccoli partiti, che avevano condizionato negativamente la politica del precedente governo. Al PD si uniscono prima l’Italia dei Valori, poi i Radicali Italiani. Berlusconi risponde fondendosi con Alleanza Nazionale (8 febbraio 2008). La Lega Nord aderisce al PDL, ma senza confluirvi. L’UDC invece non intende rinunciare al proprio simbolo e decide di correre da sola, formando, insieme alla “Rosa Bianca”, la cosiddetta Costituente di Centro. Gli altri partiti si devono adeguare. Rifondazione Comunista, Partito dei Comunisti Italiani, Federazione dei Verdi e Sinistra Democratica si uniscono sotto un unico cartello elettorale, La Sinistra – l’Arcobaleno. Completano gli schieramenti alcuni parti minori, quali la Destra – Fiamma Tricolore e il Partito Socialista, mentre l’UDEUR di Mastella, consapevole di non avere chance di affermazione, si ritira dalla competizione.
Berlusconi e Veltroni hanno dalla propria parte i tre quarti dell’elettorato e, dunque, sono loro che competono per la vittoria, con Berlusconi favorito nei sondaggi. Chiunque sarà vincitore aspira a governare senza il condizionamento di partiti minori e non è escluso che possano decidere di coalizzarsi nel caso in cui uno dei due dovesse affermarsi con una maggioranza risicata. A questo penseranno dopo: intanto devono cercare di conquistare più voti possibile e perciò puntato ciascuno sui rispettivi programmi, che hanno in comune tre cose: sono simili, sono attraenti, richiedono un costo nettamente superiore alle disponibilità del paese. Insomma, sono in buona parte solo promesse di propaganda, fatte allo scopo di conquistare consensi.
Il verdetto elettorale del 14 aprile premia lo schieramento di Berlusconi, che ottiene il 46,7% dei consensi alla Camera e il 47% al Senato (PDL 37,2 e 38,1%; Lega Nord 8,4 e 8,1%; Mpa 1,1 e 1,1%). Lo schieramento di Walter Veltroni ottiene il 37,6% alla Camera (di cui il 4,4% è dell’IDV) e il 38,1 al Senato (4,3% IDV). Regge l’UDC di Casini (5,6 e 5,7%). Non riescono a superare il livello di sbarramento ed escono di scena tutti gli altri schieramenti e partiti, fra cui la Sinistra Arcobaleno di Bertinotti (3,1 e 3,2%), il partito socialista di Boselli (1,0 e 0,9%) e la Destra-Fiamma Tricolore di Santanchè (2,4 e 2,1%). In pratica, l’Italia ha perso la Sinistra ed è l’unico paese europeo privo di un partito socialista. Ora, solo tre forze politiche compongono il Parlamento e si configura un quadro politico che somiglia ad un bipolarismo.
Il 6-7 giugno 2009 si svolgono le elezioni europee. Gli elettori italiani sono 50.341.790. Votano in 32.747.722 (65,05%). Schede bianche 990.689 (3.02%). Schede nulle 1.103.510 (3,36%). PDL 10.807.327 (35,26%); PD 8.007.854 (26,13%): LN (3.126.915 (10,20%); IDV (2.452.569 (8%); UDC 1.996.901 (6,51%); Rifondazione comunista/Sinistra europea/Comunisti italiani 1.038.247 (3,28%); Sinistra e Libertà 958.458 (3,12%); Lista Marco Pannella – Emma Bonino 743.273 (2,42%); La Destra/MPA/Pensionati/Alleanza di centro 682.046 (2,22%); Altri schieramenti, tutti con consensi inferiori all’1%. I partiti al di sotto del 4% non ricevono seggi a causa dello sbarramento. Le novità più importanti di questi risultati sono che Berlusconi non consegue il trionfo sperato (si stimava che dovesse superare il 40%), che il PD perde ma non crolla come si ipotizzava, crescono invece LN e IDV.

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