mercoledì 16 settembre 2009

19. Il caso Iraq

Alla fine degli anni Ottanta, prostrato da un’estenuante e inconcludente guerra contro l’Iran (1980-88), che egli stesso ha scatenato con intenti egemonici nell’area del Golfo Persico e nella convinzione che si tratti di una guerra lampo, il dittatore iracheno, Saddam Hussein, si trova in difficoltà economiche e in debito d’immagine. In questo momento, prendendo a pretesto la politica del ricco emirato del Kuwait, che è favorevole a mantenere bassi i prezzi del petrolio, e pensando di rifarsi, sia sotto il profilo economico che dell’immagine, Saddam invade il Kuwait e lo annette, come se fosse una provincia irachena (1990). Il presidente americano George Bush, non ci sta e, dopo che l’ONU ha intimato invano a Saddam di ritirarsi, scatena la cosiddetta guerra del Golfo, che si conclude con il ripristino dell’indipendenza dell’emirato (1991).
Dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti tornano ad occuparsi dell’Iraq, che è sospettato di produrre armi di distruzione di massa in violazione alle risoluzioni dell’Onu. Il 19 marzo 2003 iniziano l’attacco all’Iraq, sostenuti da una trentina di paesi, nonostante il parere contrario di un numero maggiore di paesi e, soprattutto, di opinioni pubbliche. In meno di un mese le truppe americane entrano a Baghdad e Saddam si dà alla fuga. Il 22 maggio 2003 la guerra ufficiale finisce e comincia la guerriglia, mentre una forza multinazionale rimane insediata nel territorio con l’obiettivo di assicurare l’ordine. Il 30 maggio 2005 si svolgono regolari elezioni politiche e nell’ottobre seguente viene approvata una nuova Costituzione, ma ciò non basta ad introdurre la democrazia e la pace in paese che continua a registrare attentati, scontri e disordini. Bilancio del conflitto: oltre centomila morti iracheni, circa 3500 morti americani.

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