mercoledì 16 settembre 2009

07. I sovietici

Il brusco cambiamento di politica non è accettabile dalle forze conservatrici del paese, che organizzano un colpo di Stato (fallito) e alimentano le tensioni sociali, che sono già elevate a causa di ulteriori spinte indipendentiste e lotte interetniche, che dilaniano il paese. Tutto ciò accelera il processo di disfacimento dell’URSS, che porta alla nascita di un nuovo soggetto politico, la Comunità di Stati indipendenti o CSI (1991), in cui la Russia continuerà ad esercitare un ruolo di preminenza, avendo ereditato dall’URSS il seggio all’ONU e l’85% dell’arsenale nucleare. La CSI comprende quindici nuovi Stati, che non costituiscono delle semplici unità politiche nazionali, quanto piuttosto delle entità multietniche, all’interno delle quali esistono minoranze che aspirano all’indipendenza, le quali, a loro volta, devono fare i conti con sub-minoranze, che perseguono lo stesso obiettivo, “come in un sistema di scatole cinesi” (GUARRACINO 1997: 219). Vladimir Putin, che è eletto a capo del governo in Russia (2000), si trova a doversi destreggiare fra la tendenza ad aprirsi alla democrazia liberale occidentale e alla necessità di contenere la crisi economica interna, la corruzione delle istituzioni e i movimenti separatisti, come quello ceceno, che non esitano a ricorrere ad azioni terroristiche. Viene riconfermato in carica nelle elezioni del 14 marzo 2004, ma, essendo impossibilitato dalle norme costituzionali ad un terzo mandato, nel 2008 favorisce la vittoria del suo delfino Dmitrij Medvedev (1965).
Identici, secondo Parag Khanna, i problemi e la linea politica del successore di Putin. Questo barcamenarsi barcamenarsi fra problemi interni e desiderio di attuare una politica estera di primo piano fa sì che “La Russia resta il più grande rebus del mondo” (Khanna 2009: 45).

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